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Quale software di sviluppo RAW scegliere?

Alla scoperta dei software di sviluppo RAW: tra tanti contendenti e due primedonne Nel vasto panorama dei software di sviluppo RAW, emergono due nomi principali: Capture One e Adobe Lightroom. Per chi ha una formazione solida, questo confronto non è una questione di “migliore” o “peggiore”, ma di approcci diversi e filosofie che si scontrano. Da un lato, una gestione precisa e puntuale, dall’altro, una semplicità operativa che non rinuncia alla potenza. Non c’è una verità assoluta, solo sfumature da esplorare, a seconda di chi sei e come devi lavorare.

Quale software di sviluppo RAW scegliere?

Iniziamo subito col dire che questo articolo non è per tutti, diamo per assodate le competenze di base e pertanto sarà più un discorso mirato e privo di fronzoli.

Iniziamo dai software esclusi: ON1 Photo RAW, Luminar Neo, Affinity Photo, Corel AfterShot Pro, Silkypix, Photo Ninja, Dcraw, GIMP, ACDSee Photo Studio, Zoner Photo Studio, FastRawViewer, LibRaw, Photoscape X, Photivo, Mylio, FastStone, LightZone.

Non sono scadenti, non mi stanno antipatici e non sono necessariamente per principianti. Tutti i software hanno dei pregi e dei difetti, ma qui ho considerato una minima parte di essi escludendo quelli che, pur sviluppando file RAW, emergevano meno di altri per lacune tecniche, supporto, compatibilità, funzionalità, diffusione, stabilità o altro..

Chi ho scelto di valutare? Semplice: Capture One, Adobe Lightroom, Iridient Developer, Darktable, RawTherapee, DxO PhotoLab.

Iniziamo dal principio e in modo sbrigativo: hai bisogno del tethering? Scatti in studio? Hai un art director che segue le lavorazioni? Hai il cliente sul set che vuole vedere le immagini su un secondo monitor in tempo reale? Condividi i file per la valutazione/selezione immediata? Devi mostrare il prodotto alla modella per far vedere le pose corrette? Devi controllare il set al meglio per still-life complessi? Lavori con inserimenti di immagini su basi 3D o in AI? Hai bisogno di un layout velina da inserire per l’inquadratura?

Discorso già chiuso, scegli Capture One e via, non ci sono alternative, è il miglior strumento esistente per lavorare in queste condizioni. Aggiungiamo anche che lavorando per i Beni Culturali o per le riproduzioni d’arte dispone di una versione apposita e chiudiamo il discorso. Altri software provvedono alla possibilità di collegare una fotocamera ma sono molto limitati e in alcuni casi instabili.

Passiamo al punto due: Nerd Time! Hai necessità di ottimizzare al meglio lo sviluppo di un file in condizioni complesse? Devi controllare tutti i parametri del software per poter ottenere il massimo in ogni situazione? Hai bisogno di avere la massima possibilità di controllo nel flusso di sviluppo?

Anche questo discorso lo chiudiamo subito con RawTherapee, non vi sono molti competitor in questo caso, nelle situazioni limite e per lo sviluppo di file singoli ottimizzati in ogni dettaglio è estremamente flessibile ma anche complesso e sicuramente lento da usare. Quello che si avvicina maggiormente è Darktable ma non raggiunge il livello di correzioni possibili con RawTherapee. Una nota di merito anche per Iridient Developer, se togliessimo il fattore nerd e lasciassimo il fattore high end sicuramente sarebbe il candidato numero uno. Ma RawTherapee vi consente di impostare parametri quali algoritmo di demosaicizzazione, l’illuminante DCP, scegliere lo spazio colore di lavoro, ottimizzare l’immagine con correzioni Lab e tanto altro, quindi diventa un vero e proprio software di rescue, unico nel suo genere.

Punto tre: quello ideato molto bene!

Sicuramente il software più moderno come logica di funzionamento è DxO PhotoLab, un prodotto eccezionale che lavora benissimo nonostante alcuni limiti funzionali. È costruito con logica professionale ma destinato a tutti. Ha dei seri limiti strutturali ma è veramente molto molto molto bello e potente. Non è certamente il primo in tutto e non è il miglior in assoluto, non ne esiste uno che emerga sugli altri, ma tra i software di sviluppo dei file RAW può guadagnarsi la sua nicchia.

Punto quattro: il trattore! Hai bisogno di un software che funzioni bene e abbia tanto potenziale? Non usi il tethering perché anche se ti dicono che funziona non è sempre così? Hai bisogno di integrarti in un flusso complesso e articolato e vuoi rapidità e stabilità?

Chiudiamola qui, stiamo ovviamente parlando di Adobe Lightroom Classic (la versione CC è più for fun sotto molti aspetti)

Fatte queste premesse andiamo più nel dettaglio: non sempre abbiamo a disposizione due o tre schermi su cui lavorare, talvolta siamo sul portatile o con un solo schermo e qui il gioco si fa duro. Il software che trasmette maggior immediatezza in queste situazioni è indubbiamente Adobe Lightroom Classic, non ci sono storie, ha tutte le funzioni di gestione del catalogo articolate in modo ottimale, lo switch tra i pannelli è immediato e la customizzazione è ottimale per un singolo schermo, ma… C’è sempre un ma da qualche parte. Se lavoriamo in modo più articolato e ci muoviamo tra più schermi su una stazione di lavoro degna di nota, mi sento di dire che Capture One emerge brillantemente. Degli altri non parliamone, solo DxO PhotoLab può in qualche modo avere un certo interesse, ma la staticità di Darktable, Iridient Developer e RawTherapee sono note dolenti. Adobe vince nella maggior parte dei casi, Capture One si dimostra più mirato a un pubblico con una struttura adeguata alle spalle.

Gestione delle correzioni colore. Wow! Un bel lasciamo perdere, ci starebbe benissimo per tutti, ma non possiamo essere così drastici. Chi tiriamo fuori dal mucchio? Direi RawTherapee, purtroppo la gestione del colore non è stata pensata per chi opera nel color grading ma per un pubblico più tecnico, è molto articolata e complessa ma proprio per queste prerogative diventa anche difficile da gestire e non immediata. Di certo farebbe comodo a tutti l’integrazione di pannelli per un grading professionale, nel settore della fotografia direi un poco come 3D LUT Creator o anche più semplicemente come faceva il buon vecchio Color Quartet già vent’anni fa, ma sappiamo tutti che questi software sono più apparenza che altro. Quindi se faccio qualcosa di tecnico lo faccio per nerd così i meno esperti non ci mettono le mani e se faccio qualcosa per tutti lo faccio semplice così i meno esperti non ci mettono le mani comunque. Filosofia che premia ma non ci risolve il problema, il colore in output e l’ottimizzazione high end la dobbiamo sempre fare a parte.

Input Color Profile! E qua passa la mannaia! Capture One lasciamolo a parte o lo friggiamo subito, ha prerogative eccellenti in molti ambiti ma in questo caso NCS. Darktable si immola grazie all’amore per i profili ICC e meno doti di Capture One, gli altri resistono, ma… C’è sempre questo ma che ci frega! Iridient Developer consente di gestire i profili DCP con una discreta capacità di intervento, DxO PhotoLab lo supera perché consente di gestire oltre la curva anche una LUT .cube separata, RawTherapee permette perfino di stabilire quale algoritmo di demosaicizzazione utilizzare, Adobe consente l’uso di profili DCP e XMP con l’implementazione della LUT e il relativo dimmer. Qui però dobbiamo essere molto onesti, il profilo di input deve essere semplice da usare, non possiamo impazzire dietro a milioni di possibili impostazioni e soprattutto non possiamo pensare di rifare il lavoro di calibrazione per ogni singola immagine. RawTherapee cade brutalmente perché troppo complesso, non è immediato. Nella logica d’uso al primo posto resta Adobe Lightroom per la semplicità con la quale gestisce il flusso di lavoro, DxO cede posizioni per il gamut usato e mi spiace sinceramente molto e Iridient non gestisce le LUT quindi poverello cade verso il baratro.

Dato che avevamo salvato Capture One con un bonus preso al primo round, resta in corsa con Adobe Lightroom Classic.

Perché questi due software sono emersi? In primo luogo sono pensati per i fotografi e i professionisti ma sono palesemente destinati a utilizzi diversi. Capture One è quello vestito da ingegnere mentre Adobe Lightroom Classic è quello vestito da muratore, che poi lo siano o meno questo è un altro discorso. Capture One bada all’aspetto, alle funzioni, alle esigenze di un pubblico che lavora nel campo dell’advertising, della moda, del design, dell’architettura e via dicendo. È destinato a coloro che devono fare uso di sistemi articolati e condivisi con il team e il committente, ha una solida base di sviluppo all’interno di un workflow limitato e contingentato. Il pregio di Capture One è quello di avere un’ottima struttura interna che lavora allo sviluppo dei profili colore e cerca di ottimizzare la resa e il mood delle fotocamere anche grazie allo sviluppo di .costyle abbinati. Fin qui tutto bene, Capture One è quello figo… Sulla carta! Certo ha una laurea attribuitagli da chi lavora in un certo ambito e indubbiamente ha prerogative eccellenti che lo rendono unico, ma questo non conta nella sostanza. Se dovessi considerare la fotocamera uno strumento all’interno di un sistema più esteso indubbiamente lo prenderei in considerazione, anzi, dato che vede la camera come un prodotto per l’acquisizione al pari di uno scanner sarebbe eccellente.  Le fotografie per i beni culturali devono essere fatte con sistemi calibrati, possibilmente fotocamere medio formato, luci certificate e cromie stabili, lo richiedono le specifiche FADGI e Metamorfoze. E guarda a caso Capture One ha una versione Heritage dedicata proprio a questi flussi di lavoro. Considera un solo illuminante, usa profili ICC che limitano lo spazio colore e gli interventi sull’immagine, ha un tethering eccellente…

Quando si tratta di riproduzione diretta non ci sono concorrenti, il sistema funziona al meglio proprio in quelle attività dove le limitazioni permettono il pieno controllo del lavoro, dove lo spazio è ampio e ben organizzato.
Ma non sempre si lavora così, infatti, in tutti gli altri casi, ci serve chi si sporca le mani.

E quando c’è da sporcarsi le mani nessuno batte Adobe Lightroom Classic. Potrebbe fare di più? Certo! Potrebbe farlo meglio? Certo! Potrebbe farlo qualcun altro? Diavolo no!

Se lavori per un’agenzia o fai un gran numero di immagini ti può essere richiesto di salvare i file in formato DNG, Capture One non lo fa (lasciate perdere quello che leggete non sono conformi allo standard DNG), devi usare un software esterno, Lightroom lo fa internamente e tiene traccia di tutte le modifiche del file stesso. Oltre a questo, un punto non irrilevante, è la gestione del profilo di input e il conseguente flusso di lavoro. Lightroom usa i profili DCP che considerano la fotocamera digitale uno strumento atto a riprendere in molteplici condizioni di illuminazione, consente di unire al profilo DCP una LUT in formato .cube per correggere lo stile dell’immagine o implementare funzionalità evolute. Lasciamo perdere la differenza tecnica, andiamo sul concreto, se uso la fotocamera al di fuori dello studio con Lightroom posso operare senza alcun limite e nel pieno rispetto della cromia. Posso adattare facilmente il mio stile in tutte le condizioni d’uso e sincronizzare le immagini tra loro in modo rapido e funzionale sapendo che il profilo rispetterà le diverse condizioni di ripresa tra fotocamere differenti… Se fatto bene! Il profilo intendo, se è fatto bene lavora bene e migliora il rendimento, quelli standard di Adobe sono fatti con il braccino corto per evitare di lasciare troppa libertà al fotografo ma soprattutto per ridurre i tempi di sviluppo dei medesimi e coprire un maggior numero di fotocamere con gamut diversi tra loro.

Nessuno di questi due software ha un buon sistema di color grading o la possibilità di controllare la neutralità o la mappatura colore, hanno entrambi strumenti rudimentali e non prevedono il controllo della curva di generazione del nero o della saturazione, certamente sono limiti che potrebbero essere superati e creano problemi in molti casi, ma se per Lightroom risulta facile abbinare una specifica LUT generata con un software di color grading evoluto, con Capture One, in funzione del fatto che vengono usati profili ICC, questa situazione risulta semplice in studio ma molto complessa sul campo. Gestendo un solo illuminante il profilo ICC è estremamente limitativo e non permette il pieno controllo di tutte le situazioni di ripesa. Se poi parliamo di maschere e AI, si stanno adoperando entrambe le aziende per rinnovarsi e migliorarsi, ma quella che può apparire una logica limitativa di Lightroom, ovvero avere tutti i pannelli in una finestra, ora è diventata un vantaggio anche perché dovendo fare le cose in modo risicato hanno cercato di ottimizzare il tutto. Capture One, invece, è più opulento, puoi configurare il minimo dettaglio ma alla fine devi preformare dei preset o costyle altrimenti diventa difficile ricordarsi tutti i parametri.

Altro punto che per mia logica pende a favore di Lightroom è l’utilizzo delle maschere che ora funzionano bene. Era una nota dolente ma in Adobe ci hanno lavorato bene e ora si riesce a operare a dovere. All’atto pratico mi sembra un’implementazione più logica, un poco come ai tempi lavorare con Dicomed Imaginator invece che con il bolso Photoshop di allora. Ma Capture One indubbiamente ha i suoi vantaggi e è molto apprezzato per il suo sistema a livelli che permette fusioni multiple, cosa che con Lightroom, per tipologia di software non è possibile.

In definitiva, benché tutti i software abbiano le loro prerogative e le loro qualità, solo due spiccano e si presentano ideali per differenti condizioni d’uso. Il resto sono al momento esercizi ottimali per nicchie o esigenze specifiche, ma non colmano le necessità di una più ampia gamma di fruitori. Se l’immagine è statica e strutturata per un lavoro prevalentemente in studio, Capture One risulta essere la miglior soluzione, se l’immagine è invece dinamica e strutturata per un lavoro in esterni, Adobe Lightroom Classic è l’indomito collaboratore sul campo. Non esistono software che racchiudono tutti i pregi e nessun difetto, ecco perché in un flusso professionale si utilizzano più software a seconda della situazione di lavoro e si abbinano talvolta non solo a Photoshop ma a programmi di color grading evoluti che consentono il pieno controllo di ogni parametro di contrasto, tinta, colore e saturazione. La realtà dei fatti, però, è che per il video vengono creati strumenti di lavoro evoluti per professionisti mentre in fotografia si spingono logiche un poco antiquate e vetuste basate su preconcetti che esistevano vent’anni fa. C’è ampio margine di miglioramento, ma al momento la situazione è ancora ai blocchi di partenza e non esiste un campione sul campo, solo personali punti di vista o esigenze di lavoro.

Leica Q (Typ 116) - Comparazione profilo
Leica Q (Typ 116) - Comparazione profiloLeica Q (Typ 116) - Comparazione profilo

A volte un’immagine vale più di mille parole. A sinistra, una fotografia scattata in un ambiente con evidenti complessità di illuminazione, sviluppata con il profilo Adobe Color; a destra, la stessa immagine, ma con il profilo TheSpack. Per questo confronto sono stati utilizzati profili di seconda generazione, ottimizzati nel 2021, quindi ancora lontani dai progressi successivi. Questa immagine è particolarmente critica a causa di una sfumatura in saturazione, che, se non correttamente normalizzata, genera irregolarità. Spesso, il risultato ottenuto con il profilo Adobe porta a un giudizio negativo sulla qualità del file e della fotocamera stessa. Pur utilizzando una curva tonale simile per il contrasto, il profilo TheSpack ha prodotto un risultato nettamente superiore. Si nota una maggiore coerenza cromatica, estensione del dettaglio e leggibilità in tutte le aree dell’immagine. I disturbi e la granulosità, evidenti con Adobe, sono stati ridotti grazie alla struttura del profilo TheSpack, progettato per bilanciare correttamente i canali in uscita. Questo limite nei profili Adobe spesso causa un calo di qualità che viene erroneamente attribuito al mezzo tecnico. Il miglior dettaglio, la resa tonale superiore e l’assenza di irregolarità non sono il risultato di correzioni post-produzione, ma di un profilo colore studiato e sviluppato accuratamente.

Panasonic S1R - Impercettibili difetti
Panasonic S1R - Impercettibili difettiPanasonic S1R - Impercettibili difetti

Siamo spesso abituati a guardare l’insieme di un’immagine, perdendo di vista il dettaglio che la definisce. Questa riflessione, di per sé, potrebbe sembrare fuori luogo, considerando che la fotografia si basa sulla percezione visiva, sull’impatto che un soggetto, la luce, l’interpretazione e le dinamiche di una scena ci trasmettono. Sarebbe quindi naturale non concentrarsi sui dettagli. Eppure, qui nasce un grande paradosso: investiamo in lenti costose, glorificando la loro resa. Cerchiamo di correggere le aberrazioni, inseguire la risoluzione, applicare texture e maschere di contrasto per enfatizzare i dettagli, eppure ci dimentichiamo spesso di un elemento fondamentale: il profilo colore, che può distruggere tutto questo lavoro. Guardando ora il dettaglio ingrandito di una fotografia sviluppata con il profilo colore Adobe Color e la stessa immagine con TheSpack. La scelta di come intervenire su un profilo colore, quali parametri considerare e come ottimizzare la resa di un sensore porta inevitabilmente a conseguenze che impattano sulla qualità finale dell’immagine. Questo può addirittura vanificare il lavoro di ingegneri e progettisti che hanno creato ottiche di altissima qualità. Nell’immagine sviluppata con il profilo Adobe Color, la luce di un neon si disperde, lasciando un evidente alone attorno alla sorgente luminosa. Questo fenomeno riduce la consistenza nelle alte luci, compromettendo la texture e il dettaglio, e alterando la qualità complessiva della foto. Un piccolo difetto che, tuttavia, incide pesantemente sulla resa delle lenti e si manifesta su tutta l’immagine, indipendentemente dalle condizioni di illuminazione. Ovviamente, questa considerazione nasce dal fatto che un profilo colore può essere generato tenendo conto di differenti parametri, inclusi quelli che determinano lo scostamento di tonalità e saturazione al variare della luminosità. Per questo motivo, abbiamo scelto di suddividere il nostro sistema in modo da renderlo efficace in una vasta gamma di situazioni. Abbiamo implementato soluzioni specifiche per ogni singola fotocamera, così da ottenere risultati ineccepibili, indipendentemente dalle condizioni di ripresa. Questo approccio ci permette di garantire una resa cromatica coerente e precisa, riducendo al minimo le deviazioni che possono compromettere la qualità dell’immagine.

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